NELLO STUDIO DI LUCA MOSCARIELLO
Sala Bolognese, 27 marzo 2020
Luca Moscariello
Vivo a Sala bolognese. Nell’anonimato. In una vecchia tipica casa contadina che, in anni non troppo distanti, ospitava braccianti e mezzi agricoli. Un luogo che ha conosciuto il lavoro inclemente, silenzioso e metodico, che la terra richiede. Un contenitore di fatiche senza orari, lontano dal clamore. Mura che hanno custodito questa prerogativa, trasportando quella stessa dedizione in ciò che oggi anima il mio operare.
Le ispirazioni arrivano sempre senza annunciarsi. Più semplice sarebbe dirti da quante cose prendo le distanze. Mi alimento prevalentemente di letture disparate e cinema, cercando di influenzare un viaggio che, per quanto possa andar lontano, ha sempre origine nei miei pensieri. Un lavoro che oggi, citando Bergonzoni, cerca “l’oltre”. Oltre le rassicurazioni, oltre le immagini sterili che hanno infiacchito la curiosità degli occhi, oltre il tempo svuotato di tempo di questo nostro tempo. Oltre le risposte. Una domanda.
Credo che il colore sia lo strumento più efficace cui dispongo per tenere a distanza la morte o, per lo meno, fuori dallo studio. Sono terrorizzato dall’idea di potermene privare e, più di tutto, quindi è nel bianco che identifico il disagio. D’altronde sono cresciuto in un territorio caleidoscopico, a metà strada tra metafisica e Lucio Dalla, Cuniberti e Antonioni, Savonarola e Pazienza. Un territorio pervaso da rituali folkloristici, sagre e alligalli. Irrimediabilmente travolto da Fellini. Sono l’abito di Arlecchino.
Non c’è nessun cambio c’è un “oltre”, appunto. Un “anche”. Fu un attrito a generare la prima scintilla e questa, è l’unica modalità che mi interessa perseguire. Creare un’alterità, un’ulteriorità, restando fedeli alla “originarietà” come diceva De Chirico, l’identificazione a una matrice e, in fondo, a se stessi. Non c’è necessità ne cosa più inefficace di celebrare idoli non propri per tentare la via dell’originalità. Tarkovskji o Kubrick o Gerhard Richter ci hanno insegnato che lo spaziare tra i generi è un problema di chi cerca rassicurazioni. Si può oscillare tra ambienti saturi e spazi vuoti da colmare, senza doversi giustificare, purché si resti fedeli ad una ricerca ossessiva, all’amore, al restituire qualcosa che induca a riflettere, a indagare e, magari, a un’emozione.