ALBERT PINYA & LAURINA PAPERINA
Wormhole
A cura di Rossella Farinotti
19 dicembre 2018/9 marzo 2019
Inaugurazione: mercoledì 19 dicembre 2018 h.18
WORMHOLE
Rossella Farinotti
Wormhole è un racconto di un viaggio spaziotemporale. È un buco nero di matrice comune che si sviluppa su strade parallele con assonanze, tendenze e contingenze stilistiche e formali che si assomigliano, incontrandosi a metà strada da due punti di vista diversi sulle cose che trattano sia il quotidiano che l’immaginato fantasioso. È l’incontro di due artisti, Laurina Paperina e Albert Pinya, sviscerato e elaborato da una lunga genesi che va recuperata in un contesto preciso di qualche anno fa. Si tratta di un percorso che procede su due livelli: il primo umano, legato a un’amicizia, e il secondo, consequenziale, restituito da un sodalizio lavorativo. E da un approccio somigliante nel fare arte.
Ho conosciuto Laurina Paperina grazie a Albert Pinya, proprio quando Laurina Paperina ha conosciuto Albert Pinya in quello stesso giorno – forse era il 2008, ancora non riusciamo a essere così precisi – a Bologna durante la fiera. Pinya era in cerca di Emilio Bordoli, collezionista che da poco aveva acquistato un suo dipinto dal titolo “Tsunami”. L’artista di Maiorca, che avevo conosciuto l’anno prima a Berlino, mi aveva dato appuntamento davanti a dei disegni che a entrambi piacevano molto: una serie di fogli incorniciati che trattano i nostri miti dell’arte, da Keith Haring a Marina Abramovich, da Gina Pane a Maurizio Cattelan e Jean Michel Basquiat. La rappresentazione della Pane era estrema e un po’ truce, davvero ironica: la performer era nella vasca da bagno con le vene tagliate. Tra quei disegni era senza dubbio il mio preferito. Era una rappresentazione caustica, colta e molto intelligente. È in questo frangente che ho conosciuto Laurina (tutti la chiamano “Pape”. A me piace più “Laura”, ma lei lo sa, che sono in fondo un po’ seriosa) e, immagino, in quel giorno i due artisti sono diventati amici.
Sembra la storia di un incontro romantico tra amici, quasi un incipit tratto dai Goonies, come piacerebbe all’artista trentina, con un sentore di finale alla David Lynch, proprio come disegnerebbe lei, ma ho voluto iniziare così la storia di Wormhole e del progetto sviluppato con Martina Corbetta e Stefano Bergamaschi perché ci sono operazioni che non possono avvenire se di fondo, alla base, non c’è una stima come forza motrice. La mostra racconta un po’ questo: un’operazione tra due artisti speciali, con visioni diverse sul mondo legate entrambe a rimandi tra passato e futuro e che hanno convogliato verso una direzione univoca, addirittura culminando nella realizzazione di opere uniche dipinte a quattro mani. Non semplice, ma efficace. Perché il compito dell’artista è quello: assorbire, semplificare e rielaborare delle visioni quotidiane, sociali, ironiche, politiche o puramente estetiche. E Pinya e Paperina hanno questo in comune, insieme alla resa che è al primo impatto infantile, ironica, piacevole. La scelta di rimanere un po’ “Peter Pan” è in fondo di entrambi: è tangibile nei colori e nei temi trattati. Lo stile grezzo e chiaro del bambino, che si è evoluto con forza nel caso di Pinya, che da una pittura volutamente piatta è passato a una tridimensionalità extrapittorica anche nell’installazione delle opere, nella loro resa che ha sfociato addirittura nella realizzazione di sculture, così come i personaggi di Laurina, riconoscibili si, ma da un occhio fine e esercitato. Il tema dell’infanzia, non come soggetto rappresentato, ma come approccio stilistico, è uno dei comuni denominatori che lega Paperina all’artista spagnolo. Anche Pinya, dall’inizio del suo percorso nell’esplorazione della pittura, non ha mai smesso di sforzarsi di rimanere bambino. Apposta, per colpire in maniera più sottile. Il colore esplosivo, l’energia che ha strabordato dalla pittura a tutti gli altri mezzi espressivi che Albert ha sempre utilizzato – dall’installazione, alla performance, all’interazione con il pubblico (ricordo ancora quando, per la grande opera in cui riportava il suo studio all’interno della Fondazione Sa’ Nostra a Palma di Maiorca, la sua città, dal titolo Laboratorio Pinya, per entrare il fruitore doveva mettersi un naso da clown), fino ai numerosi video realizzati, ai murali, alla commistione con la poesia, la musica, il cibo con la collaborazione con la chef Maria Solivellas – l’uso dell’arte come luogo in cui evadere, come excusatio per non rimanere con i piedi in questo mondo e, infine, il tratto marcatamente del non adulto, che spesso utilizza ancora, con ironia e quel cinismo che non ha mai abbandonato.
In No tornarà a passar, in collaborazione con il musicista e scrittore Joan Miquel Oliver, riattiva delle creature elementari e semplificate, per raccontare una storia live. Quelle disegnate da Albert sono riconducibili alle creature, per nulla semplificate in questo caso, ma elaborate, personalizzate e complesse, che convivono nel micro-mondo della Paperina, che animano quella grande tana che, negli anni, l’artista si è costruita come protezione e come veicolo per combattere il mondo fuori. Quelli di Laurina sono personaggi tratti dal cinema, dal fumetto, dal video games, dai film d’animazione e da quelli fantasy, che l’artista rimescola inventando storie che hanno un inizio e dei finali spesso drammatici, che riportano alla vita quotidiana. Laurina Paperina attua un percorso – che l’artista ha portato letteralmente in giro tra Stati Uniti, nord Europa e Italia negli ultimi anni – che è stato sintetizzato in un Mixtape totale nel 2016, e che può essere permanentemente fruibile in luoghi istituzionali come il Mart di Rovereto, la sua seconda casa. Da queste assonanze e da quel primo incontro, inizia un sodalizio che porta i due artisti geograficamente così diversi a interagire tra loro incrociando i percorsi lavorativi. Un primo esempio, in stile “Pinya”, è l’opera che l’artista maiorchino dipinge a Berlino nel 2009, Albert Pinya y Laurina Paperina como Adán y Eva en el nacimiento de la tragedia, una sorta di genesi “Paperina Pinya” trattato alla maniera ironica, ma anche tipicamente irriverente di Albert: i due artisti sono rappresentati come Adamo ed Eva. Nudi, lui con la pelle scura, per sottolineare la sua matrice fortemente mediterranea, in contrapposizione a Paperina, che ha la pelle rosa e i capelli biondi, apparentemente pura nella sua essenza di donna. Entrambi, coperti solo da una foglia di fico, hanno uno sguardo terrorizzato, attonito, perché hanno colto la mela, che Laurina ha già morsicato. Sono impauriti perché “la tragedia è incominciata”, i due artisti hanno compiuto il primo passo insieme e non possono più arrestarsi. Il mondo dell’arte deve stare attento: una piccola rivoluzione culturale sta nascendo con questo binomio travolgente. Da qui i due rimangono in contatto, fino a quando Pinya invita Laurina Paperina a Maiorca nel 2013 per realizzare una personale presso la storica galleria Ferran Cano, lo scopritore di artisti straordinari come Barcelò, dal titolo Spaceballs. “Albert Pinya ha curato una mostra a Laurina Paperina per compatibilità di stile: sono entrambi artisti dalla forma e approccio pop e apparentemente naif, da un’ironia tagliente e molto cruda, per Laurina spesso cruenta, ma sempre col sorriso. Pinya e Paperina si incontrarono infatti a Bologna anni fa e l’artista spagnolo già dalla Spagna (Spaceballs è la seconda personale spagnola per la Paperina) aveva iniziato ad apprezzare i lavori della pittrice/ fumettista/illustratrice che lavora anche con video installazioni create sulle sue animazioni… Pinya crea un piccolo, serio circus nella storica galleria del grande Ferran Cano”. (SPACEBALLS //// personale di LAURINA PAPERINA a Maiorca, a cura di ALBERT PINYA, labrouge, marzo 2013)
Wormhole è un buco nero nel quale si può essere risucchiati, con il rischio di non uscire. Ma qui entrambi gli artisti sono riusciti a evadere, contaminandone il suo esterno, interagendo tra loro. Se “nella relatività non esiste un unico tempo assoluto, ma ogni singolo individuo ha una propria personale misura del tempo, che dipende da dove si trova e da come si sta muovendo” (S. Hawkins), allora qui di misure spazio temporali ne esistono dunque due precise, che viaggiano in parallelo: quella di Paperina e quella di Pinya. Due mondi diversi, ma visivamente simili e in armonia tra loro. Il dialogo ha inizio, e lo spettatore deve essere preparato: Laurina Paperina e Albert Pinya realizzano la prima mostra insieme. I due artisti dialogano attraverso una commistione di simboli ripresi dai propri mondi con dissacranti ironie, colori e forme straripanti, personaggi ricorrenti e riconoscibili da sfondo a una battaglia pop. Paperina e Pinya si scambiano i panni, con un’ironia e rispetto partiti da una lunga amicizia, attraverso riprese di stili, diversi, ma riconducibili a uno stesso gusto visivo, minuziosamente raffinato e falsamente piacevole nei soggetti, perché molto critico. Laurina rielabora Pinya e Pinya riprende Paperina. E viceversa. Albert ha un’attitudine rivolta al futuro, disegna supporti geometrici e architetture come piattaforme con uno stile che in Italia avevamo già intravisto in Recent Works nel 2017 al Museo di Lissone, mentre Laurina gioca sul passato e presente, grazie ai rimandi con cui è cresciuta e che, nel 2018, hanno culminato nella serie, con disegni densissimi e intricati, dedicata ai “Sette vizi capitali” e mostrati a Miami.
I due artisti sono stati invitati a Martina Corbetta a intervenire, per una visione inedita e sorprendente, su opere realizzate a quattro mani, sia tele che carte, con l’aggiunta di tre sculture di Pinya realizzate ad hoc per la mostra italiana, cinque grandi lavori di Paperina e una sua serie a edizione limitata di serigrafie realizzate in b/n e a colori. I personaggi reali e fittizi estrapolati dai mondi del fumetto, del cinema, dall’animazione, o anche dal sistema dell’arte o del background culturale in cui la generazione italiana degli anni ‘90 è cresciuta, tipici dell’opera di Paperina, si attivano mescolandosi sugli sfondi di Pinya che, attraverso una pittura consapevole, densa e ben definita, dribbla i colpi mettendo a disposizione forme, geometrie e simboli dipinti con consapevolezza. La sfida è aperta. Almeno quella per gli occhi, che, passo dopo passo, in mostra scopriranno tutti questi elementi, le loro narrazioni e lo sviluppo di stili racchiusi in questi micro-mondi realizzati in diverse dimensioni.
(SINCRODESTINO, SERENDIPITÀ, DISTOPIA, FUTURO… [2018•2010•2008])
QUANDO PINYA HA INCONTRATO PAPERINA
Tolo Cañellas
Pensate che i percorsi professionali di Albert e Laurina si siano incrociati per caso? Io no. Entrambi hanno incontrato separatamente il mio. Prima è stato il lavoro di Paperina, Freak Show, nella galleria Travesía Cuatro, nel 2008, ed è stato come amore a prima vista. Ero particolarmente attratto dalla sua ironia, tutta la sua ricerca si basa su quello: umorismo, sarcasmo e latte cattivo, attraverso un linguaggio amichevole e un’estetica da cartone animato. Parlare e, direttamente, criticare il mondo dell’arte dall’interno, collocandolo in una sorta di realtà sconsiderata sono peculiarità di Paperina. Poi, nel 2010, un amico mi ha scritto per dirmi che voleva io vedessi il lavoro di un suo amico, era sicuro che mi sarebbe piaciuto. Mi inviò così numerosi cataloghi e pubblicazioni e, devo ammettere, c’è voluto un po’ per aprire quella busta e dare un’occhiata (non ero in un momento buono della mia vita). Posso dire che a primo sguardo mi è piaciuto molto il suo lavoro, ma non ho prestato l’attenzione che meritava. Mesi dopo, grazie a un trasloco, è caduto di nuovo nelle mie mani e ho rivisto il materiale immergendomi completamente nel suo universo, fatto di un linguaggio proprio del tutto particolare e riconoscibile, pieno di alieni e maiali volanti. Con un umorismo graffiante, critico e ironico. Ero felice quel giorno (e del trasloco)! Sì, l’amico del mio amico era Albert Pinya. Più tardi, nel 2011, durante un viaggio a Lugano ho di nuovo occasione di incontrare il lavoro di Paperina in particolare il progetto Hello Hell, in occasione di un festival di arte urbana, dove ha presentato la sua linea di lavoro.
Dopo aver vissuto 15 anni a Madrid sono tornato a Maiorca, nel luglio 2012 e, nello stesso anno, ho incontrato Albert personalmente. Fu allora che finii per arrendermi prima di tutto al suo immaginario e poi al suo modo olistico di comprendere l’arte. Ho sentito il bisogno di lavorare con lui. È qui che il nostro rapporto artista-curatore ha cominciato a prendere forma, tenendo incontri informali e sviluppando possibili collaborazioni. Fu allora che, ad un certo punto, mi raccontò di un artista che aveva conosciuto, Laurina Paperina, con la quale stava organizzando una mostra, Spaceballs, nella sua galleria del momento, l’ormai defunta Ferran Cano, di cui riporto le sue stesse parole “costruiscono un ponte tra Maiorca e l’Italia”. Per quanto riguarda questa mostra, tenutasi nel 2013, ho scritto un articolo per Nosotros (pagina online sull’arte contemporanea, in cui ho collaborato):
[…] L’artista/curatore di Maiorca Albert Pinya (Palma de Mallorca, 1985) ha conosciuto il lavoro dell’artista italiana Laurina Paperina (Rovereto, 1980) in una fiera d’arte a Berlino nel 2008 dove fu colto da un colpo di fulmine artistico. Parlavano la stessa lingua “semplice e diretto, comunichiamo cose importanti e trascendenti in modo ironico”, afferma Paperina. Qualche tempo dopo si sono incontrati faccia a faccia in un’altra fiera di Bologna, qui sono diventati amici e poco dopo il “super sceriffo curatore”, come lo definisce, propone di esporre alla galleria Ferran Cano, “tutto è venuto in un modo molto spontaneo, è stato come se ci conoscessimo da tutta la vita e come se fossimo predestinati a conoscerci”, dice l’artista. È cosí che ha cominciato a prendere forma quello che finalmente èdiventato lo Spaceballs. […]
La mostra, di Paperina, aveva qualcosa di Pinya. Forse inconsciamente si sono influenzati a vicenda. Nel frattempo avevo proposto ad Albert di partecipare a un progetto per Espacio Frágil a Madrid. Uno spazio senza scopo di lucro che ha segnato un’intera era nella capitale della Spagna. Su Hijos de la Garmonbozia (2014) ha volato in qualche modo anche Laurina.
[…] La poesia dello sradicamento e della rappresentazione del male attraverso la garmonbozia, secondo i postulati di David Lynch, attraverso il mais come cibo, dall’artista il diritto di interrogarsi e soprattutto di ripensare a un’intera serie di valori presenti nella società di oggi, mostrando in un certo modo, in chiave ironica, che tutto è putrefatto, molto marcio; volendo aprire gli occhi, risvegliando le coscienze, ma sempre da un punto di vista, il suo, moderatamente ottimista. Quindi, con grande sicurezza di Pinya converte lo Spazio Fragile, e per estensione il resto della cabina, nella stanza rossa, dove abitano gli esseri della loggia nera, una sorta di luogo nel mezzo del nulla, dove la nozione di spazio- tempo non esiste […]
[…] Sul terreno in bianco e nero (ancora una volta la dualità) e ai piedi di quella Venere transgenica, riposano una serie di disegni dai colori vividi, che mostrano, appunto, quelle situazioni di paura e dolore […]
[…] Il set completa un audio responsabile del progetto musicale Exorcismo, dove altera acusticamente una poesia che l’artista recita, come un paesaggio sonoro. Modellare come un collage tridimensionale […]
Secondo i postulati dello psicologo Carl Jung, che ha coniato il termine “sincronicità”, per riferirsi alla “simultaneità di due eventi legati dal senso e non per caso”, ha concluso che esiste una connessione tra l’individuo e il suo ambiente. Questa connessione in certi momenti genera un’attrazione che finisce per creare circostanze coincidenti, che hanno un valore specifico per le persone che lo vivono, con un significato simbolico. Quindi, Pinya e Paperina (e io) potrebbero aver fatto parte di un’esperienza sincronica e ricevere l’afflusso di Unus Mundus, quel mondo nascosto di cui parla Jung e che impregna quello che conosciamo?
Senza dubbio, e con la prospettiva del tempo (concepita in modo cartesiano), entrambe le mostre sono il preludio a Wormhole, o forse sono già Wormhole in se stesse. Potrebbe essere il risultato di una regressione a una vita passata attraverso quel tunnel spaziale, da quell’ipotetica scorciatoia attraverso lo spazio-tempo, per essere esattamente così, per guidare la strada verso quello che doveva essere Wormhole, una mostra congiunta, con lavori a quattro mani, ma anche un singolo duo. Un percorso dal futuro al passato, che modifica tutto ciò che è necessario affinché esattamente quello che è successo debba accadere, o semplicemente coesistere in questo universo olografico dove passato, presente e futuro si svolgono simultaneamente.
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